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domenica 28 settembre 2014

24 ANNI FA' LA STIDDA UCCIDEVA ROSARIO LIVATINO, GIUDICE E SERVO DI DIO

Il 21 settembre del 1990, alle 8 del mattino, a Canicattì, Rosario Livatino era salito a bordo della propria Ford amaranto per andare al lavoro al Tribunale di Agrigento. Mancavano appena due settimane al suo 38° compleanno.
Alle 8.30 sulla statale 640 Agrigento-Caltanissetta veniva raggiunto da un commando e barbaramente trucidato. Il giudice Livatino non aveva scorta, nonostante fosse stato vittima di numerose minacce ed intimidazioni. Oggi sulla stele che ricorda il luogo dell’esecuzione ci sono centinaia di fiori.
Portati da chi non ha dimenticato l’ennesima vittima dello Stato, un giovane coraggioso e timido, che rifuggiva la notorietà ma faceva tremare i mafiosi.
Dopo la sua morte, abbiamo imparato a conoscere dalle pagine dei giornali il suo viso pulito e lo sguardo limpido. E a fare i conti con la tenerezza e la rabbia suscitata dal triste epilogo della vita del “giudice ragazzino”.
Ad ucciderlo, quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina, individuati grazie alle dichiarazioni di un testimone oculare, Pietro Nava. Per l’omicidio sono stati condannati all’ergastolo Paolo Amico, Domenico Pace – catturato in Germania – Giovanni Avarello e Gaetano Puzzangaro. Ergastolo anche per i mandanti: Antonio Gallea, Salvatore Calafato, Salvatore Paria e Giuseppe Montanti, arrestato ad Acapulco, in Messico.
Rosario Livatino aveva messo in ginocchio la Stidda attraverso la confisca dei beni. Ne era fermamente convinto: senza le risorse economiche necessarie all’organizzazione dei clan, la criminalità non poteva evitare di compiere quei passi falsi utili a svelare i traffici illeciti. Le sue ricerche si erano concentrate soprattutto sulle intricate relazioni tra uomini della pubblica amministrazione, imprenditori e politici, anticipando quella che sarebbe esplosa come la Tangentopoli Siciliana.
Ma Rosario Livatino era molto di più. Aveva saputo coniugare l’impegno im magistratura e le lunghe giornate trascorse in tribunale con una interiorità profondamente permeata dagli insegnamenti del Vangelo. “Martire della giustizia e indirettamente della fede”: così lo definì Giovanni Paolo II.
Il giudice ragazzino infatti, potrebbe salire agli onori degli altari. E in tutta Italia, ed in particolar modo nell’Agrigentino, da tempo è ritenuto da molti dispensatore di grazie e intercessore celeste.
Già nel 1993 la Curia di Agrigento ha incaricato Ida Abate, insegnante di Livatino e custode dei suoi scritti, di raccogliere testimonianze utili per la causa di beatificazione. Il 19 luglio del 2011 il vescovo di Agrigento ha firmato il decreto per l’avvio del processo diocesano di beatificazione, aperto il 21 settembre 2011 nella chiesa di San Domenico di Canicattì.
Qualche settimana fa l’ennesima importante testimonianza. Sul cellulare di don Giuseppe Livatino, postulatore della causa di beatificazione e cugino del giudice, è arrivata la telefonata di una signora pugliese di 50 anni: “Avevo la leucemia e il giudice Livatino mi ha guarita”.
“Ho sentito anche i familiari di questa signora – ha dichiarato alla stampa don Livatino – che mi hanno confermato che la loro congiunta era malata di leucemia e che ben poche erano le speranze di una guarigione. Mi hanno detto che mi manderanno una relazione e copia degli esami e delle certificazioni dei medici. Attendiamo intanto questi documenti per cominciare ad esaminare il caso”.
Agli atti, anche il fascicolo riguardante un’altra guarigione attribuita al giudice ragazzino, quella di Elena Valdetara Canale di Pavia.
Nel 1993 la signora scoprì di avere una leucemia all’apparato linfatico. Poco tempo dopo sognò un uomo che non conosceva, in abiti sacerdotali. “La forza di guarigione è dentro di te – le disse – quando la trovai riuscirai a guarire a aiuterai gli altri bambini”.
Nel 1996, dopo essersi sottoposta ad estenuanti cicli terapeutici, la signora Elena, sfogliando un giornale, vide la foto del giudice ragazzino e riconobbe il volto dell’uomo che aveva sognato tre anni prima e di cui l’articolo descriveva le grandi virtù cristiane.
“Il 20 settembre del 1996, eravamo alla vigilia del sesto anniversario del martirio di Livatino – ha dichiarato la donna – e le analisi radiologiche mostrarono la recessione della malattia. Da allora io sto bene, sono guarita”.
Rosario Livatino attualmente è servo di Dio. “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”: è questo l’insegnamento più importante del giudice ragazzino.

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